Piero Tonin e la descoverta delle Americhe - Ovvero: come fu che mi ritrovai dall'altra parte dell'oceano.Originariamente pubblicata (2008) sul Blog ufficiale di Carlo Peroni.
Un omaggio al Maestro Peroni celato in un fondale del video musicale "Naif".
Alcuni anni fa ricevetti un'e-mail da un certo Piero Tonin che mi scriveva dagli Stati Uniti. Mi sembrava vagamente di aver sentito il suo nome, tempo addietro, ma non ricordavo da chi: in seguito scoprii che me ne aveva parlato, molto bene, il grande, indimenticabile amico e collega Osvaldo Cavandoli, creatore della famosa "Linea", famosa in tutto il mondo! Cavandoli conosceva Piero Tonin già da anni e aveva avuto modo di scoprirne le grandi "doti nascoste".Da allora io e Piero abbiamo avuto un fitto scambio di corrispondenza, sentendoci qualche volta anche al telefono (allora non esisteva ancora "Skype").Devo dire la verità: allora lo avevo invidiato per il coraggio di andare a lavorare negli Stati Uniti. Comunque, ora che, dopo alcuni anni, Piero è tornato ad vivere in Italia, ci sentiamo molto spesso e qualche volta ci capita anche di incontrarci di persona; un giorno gli ho chiesto se avesse voluto scrivere per i miei "PeroBlog", alcuni ricordi del periodo americano. Piero ha accettato subito con entusiasmo. Penso sia la prima volta che confidi in pubblico le sue esperienze d'oltreoceano. Allora gli ho fatto una specie di intervista. Eccola qui sotto: possiamo scoprire un Piero Tonin quasi inedito.
Perogatt: Piero Tonin, il noto disegnatore umoristico (www.pierotonin.com) è stato uno dei pochissimi disegnatori italiani a lavorare per e negli Stati Uniti. Come ha deciso di recarti proprio lì, nella patria del fumetto? Proviamo a chiederlo direttamente a lui e sentiamo cosa ci racconta.Allora, Piero, come hai deciso di intraprendere la "grande avventura"?
Piero: Già, come sono finito nel nuovo continente? Me lo sono chiesto spesso anch'io, soprattutto quando, a un certo punto della mia esperienza americana, mi sono ritrovato a convivere con uno spacciatore brasiliano nel bel mezzo del ghetto nero di Washington, DC. Va detto, a tal proposito, che la maggior parte delle vie della capitale americana sono contrassegnate da numeri e lettere. Tanto più basso è il numero, tanto più pericolosa e degradata è la zona. In una numerazione che va da 1 a 53, il mio appartamento era situato fra la quarta e la quinta strada. Guardando la mappa del mondo appesa nella mia stanza, con l'Italia così piccola e lontana, mi chiedevo appunto: "ma io come ci sono finito qui?". La risposta è semplice, anzi no. Per un misto di spirito di avventura, incoscienza e disperazione, ingredienti indispensabili per decidere di piantare tutto e andare a vivere in un paese lontano e sconosciuto. Senza prima aver cercato un lavoro, e con una conoscenza maccheronica dell'inglese. E soprattutto senza il becco d'un quattrino.
Perogatt: Infatti, stavo per chiedertelo. Come hai fatto a cavartela? Hai vinto qualche misteriosa lotteria? Oppure hai ricevuto una grossa eredità di un ricchissimo zio?
Piero: Devo dire che in Italia avevo avuto un inizio di "carriera" piuttosto promettente. Ancora studente di illustrazione presso l'Istituto Europeo di Design a Milano, avevo cominciato a farmi le ossa presso il neonato Studio 3ntini. Allora, si parla dei primi anni '90, occupava un bilocale nella storica via Giambellino. Quasi contemporaneamente, grazie ad alcune borse di studio messe a disposizione dall'Istituto Europeo, iniziavo a collaborare con Mediaset (allora Videotime), ovvero Canale 5, Italia 1 e ReteQuattro. La nostra base operativa era la cosiddetta Area Grafica di Palazzo dei Cigni a Segrate, proprio sopra la testa di Emilio Fede. Il complesso, oltre al TG4, ospitava gli studi di altri noti programmi, soprattutto giornalistici, come Striscia la Notizia, Pressing, Studio Aperto. L'Area Grafica, lo dice il nome stesso, si occupava della parte visiva dei programmi: sigle, scenografie, disegni per quiz e giochi a premi. Nell'Area Grafica è nata, ad esempio, la famosa papera bianca simbolo di Paperissima, creata da Marco Varrone, amico e compagno di studi all'Istituto Europeo. Fino, più o meno, alla metà degli anni '90 il lavoro per l'Area Grafica non mancava. Anzi. Spesso si era costretti ad autentici tour de force per tenere i ritmi frenetici delle produzioni. Ricordo quattro mesi ininterrotti di lavoro - sabati, domeniche e feste comprese - per realizzare centinaia di disegni per un gioco a premi presentato da Mike Bongiorno. A volte, non riuscendo a far fronte con le proprie forze alla mole di lavoro, si coinvolgevano colleghi e amici esterni all'Area Grafica.Poi, lentamente ma inesorabilmente, con il mutare delle mode e l'evolversi delle tecnologie, il lavoro per noi disegnatori cominciò a diminuire. Per me e per i miei colleghi fu una svolta piuttosto drammatica, perchè fuori dal Palazzo dei Cigni la situazione era tutt'altro che rosea. La maggior parte degli ex compagni di studi avevano da tempo abbandonato ogni velleità artistica in favore di un lavoro forse meno creativo ma decisamente più sicuro. Il mio vero sogno poi, quello di vivere facendo il disegnatore di fumetti, era assolutamente fuori dalla mia portata. In Italia, a meno che non si sia disposti a fare la fame o quasi, il fumettista era ormai diventato da tempo un'attività per pochi eletti, che possono farlo per hobby o autoprodursi per anni (a spese di papà) nella speranza, un giorno di diventare autori di successo. Tranne rare eccezioni, si premiano i più fortunati, non i più bravi. Non rientrando in questa ristretta schiera di eletti, decisi di giocarmi l'ultima carta, mettendo in atto un piano folle: trasferirmi in America. Se anche nella patria dei comics fosse andata male, sarebbe stata la conferma definitiva e senza appello che avrei dovuto cambiare mestiere.
Sigla di "Paperissima Sprint" con il Gabibbo e Miriana Trevisan.
Perogatt: Come hai deciso di fare questo grande passo?
Piero: Il mio "contatto americano" è Carlo, un ex-compagno del corso di Illustrazione all'Europeo. Durante il servizio civile si era invaghito di una ballerina americana che si trovava in Italia per seguire alcuni corsi di danza. Portati a termine i reciproci impegni, i due erano andati a vivere insieme a Washington, DC. Carlo lavorava come illustratore per un piccolo studio che in qualche modo ricorda la mia esperienza da 3ntini. Il nome è decisamente più altisonante, Determan Communications, ma anche in questo caso si trattava di un appartamento, non più un condominio ma la classica villetta a schiera in legno bianco dei film americani.
Il primo passo consiste nel prendermi una vacanza di cinque settimane per effettuare un sopralluogo a Washington e cominciare a studiare l'ambiente. Internet è ancora un mistero per pochi, e le informazioni bisogna procurarsele sul posto. Ero già stato in USA, proprio nella capitale, circa tre anni prima, ma questa volta non si tratta di fare il turista. Sono lì per capire come mi sarei dovuto muovere per riuscire a entrare in questo Paese. Nel corso di quelle cinque settimane ne sento un po' di tutti i colori. Da Carlo che fa di tutto per scoraggiarmi, considerando folle il mio progetto, a un italiano che mi consiglia un matrimonio di interesse per ottenere più facilmente il visto. Il quadro è piuttosto confuso. In USA le leggi sull'immigrazione cambiano con una certa frequenza, naturalmente non a favore degli immigrati.
Poi, quando le cinque settimane stanno per scadere e io sono ormai rassegnato a tornare mestamente in Italia, la situazione si smuove quasi per caso. Passeggiando per Georgetown, il certo storico di Washington, vengo attratto dall'insegna Cartoon Art Gallery (vedi foto) e da un ammiccante Mickey Mouse affacciato alla finestra di una palazzina in mattoni rossi. Si tratta di una galleria d'arte dell'animazione. Due interi piani colmi di materiale che era servito a realizzare classici dell'animazione che tutti conosciamo: Biancaneve e i sette nani, Pinocchio, Dumbo, Fantasia, La bella addormentata nel bosco, Il libro della Giungla. Bozzetti preparatori, fondali e, soprattutto, i "cel".
La Cartoon Art Gallery di Washington, DC.
Perogatt: Hai parlato di "cel". Forse è il caso di dire che in Italia quei fogli di plastica trasparente su cui si dipingono i personaggi dei cartoni animati si chiamano in vari modi: "rodovetri", "rodoid", "acetati", per citare solo i termini più usati.
Piero: Proprio così, Carlo. Comunque, dicevo, alla Cartoon Art Gallery tutto è elegantemente incorniciato ed esposto proprio come in una vera galleria d'arte. Anche i prezzi sono da grande capolavoro. Un cel originale di Biancaneve può superare tranquillamente i 15.000 dollari. Anche i pezzi meno pregiati sono decisamente al di là della mia portata, e tutto quello che mi posso permettere è un libro, usato e in francese, su Tex Avery. La direttrice della galleria, una simpatica ragazzona di 1.85, è molto incuriosita da quell'italiano dall'inglese improbabile interessato a un libro di Tex Avery in francese. Le racconto, meglio che posso, la mia storia, e il motivo per cui mi trovo a Washington. Tanto dico e tanto faccio, che il giorno dopo torno alla galleria con il mio portfolio, il quale con mia sorpresa piace molto. La ragazzona mi dice che buona parte del loro lavoro consiste nel realizzare fedeli riproduzioni di fondali dei film di animazione, che vengono poi incorniciati con il cel originale corrispondente a quella scena. Infatti ad un solo fondale corrispondono quasi sempre decine, se non centinaia, di cel. Da qui la necessità di riprodurre fedelmente, a mano, il fondale dei cel "orfani" in modo da ricreare l'atmosfera del film una volta incorniciati. Altra consistente parte del lavoro consiste nel restaurare i cel stessi che si fossero deteriorati nel corso degli anni. Alcuni cel risalgono infatti agli anni '20 del '900, e non erano certo stati concepiti per durare così a lungo.
Interno della Cartoon Art gallery con alcuni preziosi "cel".
Perogatt: E quindi?
Piero: Per farla breve, mi viene proposto di fare una prova per vedere se fossi stato in grado di portare a termine uno dei suddetti lavori. Se avessi superato il "provino", i titolari della galleria mi avrebbero supportato nel lungo e complicato processo che comporta l'ottenimento di un visto per gli USA. Una volta trasferitomi negli Stati Uniti, mi dicono, il lavoro da parte della galleria non sarebbe mancato.Sembrava un buon affare per tutti. Unico problema, sarei ripartito per l'Italia di lì a due giorni. Non avrei avuto il tempo per fare una prova. Mi consulto nuovamente con l'italiano che voleva farmi sposare un'americana. Consiglio: torna in Italia, vai al Consolato Americano e fai domanda per un visto turistico di sei mesi. Non dovresti aver problemi ad ottenerlo, se riesci a dimostrare che allo scadere del visto vuoi rientrare nel tuo Paese. Quindi torna in America e avvia le pratiche per il visto di lavoro. Meno male che esistevano certi italiano prima dell'avvento di Internet!
Perogatt: Sapevi che molti anni fa anch'io avrei dovuto sposare un'americana, completamente sconosciuta, per poter avere la cittadinanza statunitense? Io rifiutai, senza rimpianti, anche perché... all'epoca ero sposato in Italia e avevo già due figli!
Piero: Non lo sapevo, comunque hai fatto bene a non accettare! Allora, detto, fatto. Tornato in Italia mi precipito al Consolato Americano a Milano, con le prove del mio attaccamento al Bel Paese. Grazie soprattutto ai lavori realizzati per Mediaset, garanzia di professionalità, mi viene concesso un visto di ben 12 mesi. Affittato l'appartamento e sbrigate altre faccende, riparto subito per Washington. Il primo problema è trovare una sistemazione. Il mio amico Carlo i mette a contatto con Shawn e Jan. Bianco il primo, nero il secondo, lavorano in un negozio di biciclette e condividono un appartamento ad Adams Morgan, pittoresco quartiere ispanico della capitale. Non ho una vera e propria stanza, anzi non ho neppure un vero e proprio letto. Mi arrangio in un angolo dl salotto dormendo sopra un materassino gonfiabile da campeggio. Questo è tutto quello che posso permettermi al momento, visto che gli affitti a Washington sono molto cari e non ho ancora un lavoro.Beh, in realtà tutto il mondo è paese, e la galleria mi passa qualche lavoretto, ma questo rimanga tra noi! Come promesso, la ragazzona-direttrice dell'Animation Art Gallery mi mette in contatto con uno studio legale per avviare le pratiche per il visto di lavoro. Il processo si sarebbe rivelato non solo costoso, ma anche talmente lungo e complesso che che sono costretto a tornare in Italia per scadenza del visto turistico, senza sapere l'esito della mia domanda. Avrei dovuto attendere, per un tempo indeterminato che poteva essere lunghissimo, la telefonata che avrebbe potuto rappresentare l'inizio di un'esaltante avventura o la mesta fine di miei sogni americani.
Un cel di "Biancaneve e i sette nani" prima e dopo il restauro.
Perogatt: E allora?
Piero: Allora, dopo oltre due mesi di snervante limbo, alla fine la telefonata arrivò: la mia domanda era stata accettata, iniziava la grande avventura americana.
Perogatt: Direi che era ora! Adesso mi devi raccontare tutto il resto, mi raccomando!
Piero: Certo, con piacere. Tornato a Washington con un visto di lavoro, iniziano i veri problemi. L'adattamento a una realtà dove tutto è nuovo e diverso, anche fare un semplice vaglia all'ufficio postale, non è affatto semplice, soprattutto quando si ha una conoscenza molto limitata della lingua.La galleria mi passa una discreta quantità di lavoro, ma non sufficiente a far fronte all'affitto e a tutte le spese che comporta vivere in una costosa capitale. Ho un po' di risparmi da parte, ma non sarebbero durati a lungo. Mi dò da fare per cercare lavoro in tutti i modi, sia quelli tradizionali (annunci, colloqui, passaparola) che quelli decisamente poco usuali per la realtà italiana. Compro un libro sul mercato per gli scrittori e illustratori per ragazzi, The Children's Writer's & Illustrator's Market. Contiene centinaia di contatti a case editrici, riviste, agenti, e articoli, interviste e consigli da esperti del settore. Uno di questi consigli è di far stampare una cartolina con i propri lavori più significativi su un alto e i propri contatti sull'altro, e spedirla agli art directors elencati nel libro. La cosa non mi convince molto, ma da qualche parte bisogna pur iniziare, e così faccio stampare una cartolina con una mia illustrazione per Rollerblade, passando poi svariate settimane a scrivere, affrancare e spedire cartoline. Mi arriverà qualche cartolina di risposta, purtroppo solo ringraziamenti e promesse di considerazione futura, ma nulla di concreto.Mi iscrivo a un'associazione illustratori di Washington, ma la mia poca confidenza con la lingua mi fa sentire sempre un po' emarginato. Le conferenze però si rivelano interessanti, non capisco tutto quello che succede ma di una così mi rendo subito conto: tutti insistono molto sull'utilizzo di un nuovo mezzo di comunicazione: Internet.
Perogatt: Ecco, stavo giusto per chiedertelo: quindi hai capito anche tu l'importanza di Internet, vero?
Piero: Beh, io avevo cominciato a "navigare" assiduamente da diversi mesi, e per quanto la maggior parte dei siti dell'epoca (sto parlando del 1997) fossero piuttosto spartani, l'idea di costruirmene uno da solo non mi sfiora neppure lontanamente. Penso che dietro la costruzione di pagina web si celino chissà quali complicatissime conoscenze informatiche. Però molti miei amici sembrano in grado di mettere in piedi un sito senza alcun problema, e d'altra parte sembra una realtà con cui avrei dovuto far presto i conti. Un giorno decido quindi di dare un'occhiata ad un gran librone sull'HTML, il linguaggio che serve a costruire i siti web. La lettura si rivela sorprendentemente appassionante, e così nel giro di un mese ho anch'io il mio sito personale! Certo, esteticamente non è un gran che, e l'indirizzo è impossibile da ricordare, ma nel '97 è una cosa all'avanguardia, soprattutto per un fumettista. Mi rendo immediatamente conto delle enormi potenzialità del mezzo. Quasi da subito, siti specializzati iniziano a dare ulteriore visibilità ai miei lavori, con link e pagine dedicate alle mie vignette. Qualcuno mi chiede di poter utilizzare i miei disegni, o ne commissiona di nuovi.
La combinazione di "cel" e fondale ricrea l'atmosfera del film.
Perogatt: Bene, qualche cosa allora si era finalmente mossa!
Piero: Infatti. Dopo nemmeno un anno di presenza su Internet, la svolta. Mi contatta tale Gene Schwimmer da New York, chiedendomi se fossi disposto a disegnare alcune vignette da lui scritte. Mi manda una biografia nella quale, fra le numerose collaborazioni come scrittore, spicca quella con la rivista Playboy, per la quale negli anni '80 aveva realizzato, assieme al disegnatore Randy Jones, la striscia "Through Space and Time with Schwimmer & Jones". Decido di collaborare con Gene. Avevo sempre voluto scrivere da me fumetti e vignette, ma per tentare di sfondare nel mercato americano mi sarebbe stato utile, anzi indispensabile, lavorare con uno scrittore madrelingua della sua esperienza. I risultati non tardano ad arrivare. Numerosi siti cominciano a pubblicare le nostre vignette, rendendo popolare il nostro lavoro. Per Gene c'è anche un "ritorno alle origini" con la pubblicazione settimanale su Rouze.com, sito edito proprio da Playboy Enterprises. Oltre a pagare molto bene, Rouze lo fa con assegni griffati con il famoso coniglietto di Playboy. Parallelamente, continuo a produrre e a promuovere vignette per mio conto, di umorismo decisamente più europeo. Anche da solo comincio a raccogliere qualche soddisfazione. Poco dopo inizia la pubblicazione, sempre settimanale, delle mie vignette sul sito di Discovery Channel. Discovery paga cifre impensabili per l'Italia, anche rispetto a pubblicazioni molto importanti. Ma la più grossa soddisfazione arriva di lì a qualche mese, con la pubblicazione su "The New Breed" di King Features. King Features è il più importante syndicate americano, che nel corso della sua lunga storia, iniziata nel 1915, ha distribuito classici come Braccio di Ferro, Mandrake, l'Uomo Ragno e Flash Gordon. Assieme a Silver, con Lupo Alberto, a tutt'oggi sono il solo fumettista italiano ad essere stato pubblicato da un importante syndicate americano. Questa è anche una piccola rivincita personale, perchè solo pochi anni prima proprio un collaboratore di Silver mi aveva invitato, poco elegantemente, a cambiare mestiere. Vedere le mie vignette pubblicate con il logo di King Features ha qualcosa di irreale. Mi sembra di tornare bambino, quando sapevo a malapena scrivere, ma già disegnavo fumetti firmandoli "Walt Disney Productions", come avevo visto fare sulle pagine di Topolino. King Features si è dimostrato un ottimo biglietto da visita che mi ha aperto porte per altre importanti collaborazioni, consentendomi di avanzare richieste economiche che altrimenti non avrei mai osato fare.
Vignetta per il King Features Syndicate.
Perogatt: Benone! Allora, Piero sei diventato una specie di "americano" anche tu!
Piero: Forse, almeno per quanto riguarda il modo di lavorare sì, Carlo. Con l'esplosione di Internet nel nuovo millennio, il mercato è cambiato radicalmente in pochissimi anni. Sono cominciati a nascere agenzie che distribuiscono vignette e illustrazioni attraverso internet. Attualmente, i miei lavori sono distribuiti da un nuovo tipo di syndicate, come CartoonStock e Artizans, che mi rappresentano in tutto il mondo attraverso i loro siti.
Perogatt: Ma non sentivi un po' di nostalgia per l'Italia?
Piero: Grazie alla possibilità di lavorare via Internet, dopo sei anni d'America ho deciso di ritornare in Italia, anziché avviare le pratiche per la Carta Verde, il visto che mi avrebbe permesso di risiedere permanentemente in America. Ora continuo a lavorare, soprattutto con gli USA, attraverso il web. Nel frattempo in Italia è cambiato tutto, per non cambiar niente. La maggior parte delle proposte, anche da pubblicazioni a diffusione nazionale, sono per collaborazioni a cifre spesso ridicole, quando non sono addirittura gratuite. Una nota rivista con "innumerevoli tentativi di imitazione", alla mia domanda di quanto pagassero le vignette, mi ha risposto "pochi, maledetti e subito". Beh, purtroppo essere pagati subito è già qualcosa, in Italia.
Perogatt: Purtroppo hai toccato un tasto doloroso, caro Piero...
Piero: Lo so bene... Insomma, a volte di fronte a certe grottesche situazioni che mi
riportano ai difficili inizi mi viene da chiedermi: "Ma io ci sono stato davvero in
America?".
Perogatt: Ci sei stato davvero, ma per fortuna l'America non ti ha cambiato: sei rimasto il Piero Tonin che eri prima, ma con molta, molta esperienza in più.
Carlo Peroni